Non so se capita anche a voi, ma ogni volta che leggo un articolo particolarmente riuscito ed interessante penso: ma perché non è venuto in mente a me, di scriverlo? Oppure, perché non l’ho scritto io così?
Questo senso di eterna inadeguatezza deve avere a che fare con antichi complessi irrisolti e conflitti tuttora latenti, ma in buona sostanza può essere riassunto con un solo termine: invidia.
E’ l’invidia, bestia nera di tutti quanti noi, a salirci sulle spalle e farci sragionare proprio quando avremmo necessità di usare, e bene, il cervello: e ci assale all’improvviso, e non sempre, o non solo, quando guardiamo cose che vorremmo avere noi. Talvolta l’invidia si prova, come nel mio caso, per ciò che un’altra persona fa o scrive, talaltra sono le parole di ammirazione che vorremmo veder dedicate a noi. Sempre, però, l’invidia si prova per ciò che non abbiamo, che pensiamo di non avere o che abbiamo perso.
Questa tirata sopra uno dei più disdicevoli sentimenti che si possano provare è dovuta alla visione di un film appena uscito nelle sale, “L’ultima ruota del carro” di Giovanni Veronesi.
Il protagonista, Ernesto, è il classico “medioman”: mingherlino, un po’ timido, mite, attraversa 40 anni di storia italiana, e di vita, senza mai perdere l’onestà e la voglia di fare. Giacinto, l’amico maneggione e scafato, negli stessi anni riesce a sporcarsi le mani un bel po’ di più e non per disonestà od incostanza, semplicemente tentando di portare a casa, oltre alla pagnotta, anche una bella macchina, una ragazza vistosa Continua a leggere